Non credo che il mondo sia stato costruito per renderci soli.
Penso piuttosto che la solitudine sia diventata un effetto collaterale così redditizio da essere, oggi, parte integrante del sistema.
Non è stato un piano segreto. È stato un incidente di percorso, poi trasformato in modello economico.
Quando Facebook nacque, non voleva distruggere la socialità. Google non voleva diventare un oracolo manipolatore. Twitter non voleva polarizzare l'opinione pubblica.
Erano strumenti — nati con ideali di connessione, conoscenza, voce. Ma hanno trovato, lungo la strada, qualcosa di molto più potente di qualsiasi visione: il dato.
Hanno capito che la nostra attenzione, il nostro tempo, le nostre emozioni, potevano essere convertiti in denaro con un'efficienza che nessun'altra industria aveva mai conosciuto.
E da quel momento, l'obiettivo non è più stato connettere le persone. È stato farle restare.
L'economia dell'attenzione
L'economia dell'attenzione non è una teoria astratta. È la forma moderna del capitalismo.
Non produce beni, produce dipendenza.
Non vende prodotti, vende abitudini.
Ogni scroll, ogni notifica, ogni pubblicità è un tentativo ben calcolato di catturare un secondo in più della tua vita.
E non c'è nessuna cospirazione dietro: c'è solo l'inerzia del profitto.
Le aziende hanno scoperto che l'isolamento rende docili, l'ansia fa consumare, la noia fa cliccare.
E così, piano piano, abbiamo scambiato la libertà con la frenesia.
La relazione con la connessione.
La comunità con l'engagement.
Unità di consumo emotivo
Siamo passati da "esseri sociali" a unità di consumo emotivo.
Più soli, più fragili, più impulsivi.
La tristezza oggi si cura con un giro su Amazon.
La noia si gestisce con un reel.
La rabbia con un commento.
Ogni emozione viene monetizzata, e ogni interazione serve a nutrire una macchina che non conosce riposo.
E la macchina, ironicamente, è costruita da esseri umani che a loro volta ne sono vittime.
Coerenza del sistema
Le grandi aziende tech non sono malvagie. Sono solo coerenti.
Seguono le regole che noi stessi abbiamo accettato: crescita infinita, trimestri migliori dei precedenti, metriche che salgono.
Non importa se per farlo si prosciuga l'attenzione collettiva o si brucia la salute mentale di una generazione.
Non importa se si distrugge la fiducia tra colleghi, tra amici, tra cittadini.
Conta solo che la curva vada su.
Nel frattempo, noi — le formiche — ci guardiamo intorno e non capiamo più chi è il nemico.
Non c'è più il "capo cattivo" o la "classe dirigente": c'è un sistema che ci mette uno contro l'altro, competizione ovunque, empatia in calo.
Lavoriamo, consumiamo, scrolliamo. E alla fine della giornata ci sentiamo vuoti, ma anche colpevoli di esserlo.
La ribellione della connessione
Eppure, in mezzo a tutto questo, una verità resta: l'essere umano è sociale per natura.
L'isolamento non è sostenibile.
Per quanto il sistema provi a venderci la solitudine come libertà, la libertà vera sta nel ritrovarsi.
Parlare, ascoltare, condividere. Salutare chi non ti saluta. Essere gentili con chi è chiuso nella propria bolla.
Non per buonismo, ma per ribellione.
Perché in un mondo che monetizza la distanza, ogni gesto di connessione è un atto politico.
Conclusione
Non possiamo fermare il sistema.
Ma possiamo disinnescarlo, un contatto umano alla volta.
E forse, alla fine, sarà questo il vero "update" del consumismo: ricordarsi di essere umani.